Esiste un “limite d’età” per iniziare un’analisi?
Come è noto, la psicoanalisi è uno strumento molto potente, utile per conoscersi meglio e far emergere conflitti psichici ed emotivi. Allo stesso tempo, l’analisi è un percorso arduo e difficile, che richiede spesso molto tempo e risorse.
Per questo, generazioni di analisti si sono chiesti cosa fare davanti alle richieste di aiuto di pazienti anziani.
Possiamo dire che esistono due principali problemi: in primo luogo la psiche di un uomo anziano è “sufficientemente plastica” da poter cambiare una volta sottoposta al metodo psicoanalitico?
In secondo luogo, in che modo la possibilità della morte influenza il lavoro tra psicoanalista e paziente anziano?
Sigmund Freud, nel saggio “La sessualità nell’etiologia della nevrosi” (1908), aveva sconsigliato di sottoporre al metodo analitico sia i bambini sia gli anziani. Freud riteneva infatti che già ai pazienti intorno ai 50 anni mancasse la sufficiente plasticità per poter avere risultati soddisfacenti dal trattamento analitico.
Dall’altra, il timore per le prime generazioni di analisti davanti al paziente anziano era che, data la grande esperienza di vita, il materiale da analizzare fosse praticamente infinito, rendendo l’analisi un processo senza fine per la quantità di lavoro richiesto.
Oggi, tuttavia, l’età non è più considerato un fattore tale da sconsigliare l’inizio di una psicoanalisi.
La rigidità psichica infatti non dipende solo dall’età del paziente, ma anche da altri numerosi altri aspetti della personalità: un paziente ossessivo può essere infatti molto rigido e restio al cambiamento anche in giovane età.
Nonostante i tanti anni di vita, un soggetto anziano che desidera iniziare un trattamento si fa portatore di una domanda che in sé ha un grande potenziale terapeutico e di cambiamento: rifiutare ogni forma di aiuto semplicemente per ragioni anagrafiche appare davvero come un freddo e cinico modo di ridurre la complessità della vita ad un mero numero!
Inoltre, uno dei quattro principi fondamentali della Psicoanalisi è la “ripetizione”: nel corso della nostra vita tendiamo infatti a strutturare, secondo le logiche inconsce del fantasma, delle modalità di ripetitive di relazionarci con l’Altro, di godere e di soffrire. Per questo, al cuore della nevrosi del paziente troviamo una logica inconscia che si ripete nelle diverse esperienze che ha vissuto con una certa regolarità.
Quanto accade nei primi anni di vita ha infatti un peso decisivo nella struttura della personalità adulta: Jean-Paul Sartre, uno dei padri dell’Esistenzialismo, affermava infatti che l’infanzia fosse un’epoca intramontabile della vita, con la quale tutti siamo chiamati a fare i conti, specialmente una volta divenuti prima adulti e poi anziani.
Karl Abraham nel 1919 aveva già affermato un principio simile: invece di focalizzarci sull’età del paziente, sarebbe utile porre attenzione sull’“età della nevrosi”; da quanto tempo il paziente soffre della condizione che lo ha condotto a domandare un’analisi? Possiamo parlare di una condizione di cronicità o di una situazione aperta alla trasformazione?
All’interno del cosiddetto “ciclo di vita”, l’anzianità è stata spesso ridotta a momento di declino, malattia e sofferenza. Se certamente è vero che il declino fisico e cognitivo è un aspetto centrale della vecchiaia, allo stesso tempo la domanda di aiuto del soggetto anziano ha la stessa dignità e valore di qualsiasi altra domanda di aiuto.
Il tema della morte non è specifico di una certa età della vita: Lacan definiva l’esperienza della morte come il confronto con un “Padrone assoluto”; la morte costituisce un elemento di profonda angoscia e ciò ne determina la rimozione tanto dal discorso sociale quanto da quello del singolo soggetto.
Purtroppo, la morte costituisce lo sfondo di ogni esistenza, di ogni essere umano al di là della propria età. Il lutto della propria morte e di quella altrui è il frutto avvelenato del rapporto con l’altro, un passaggio inevitabile da affrontare, come afferma Freud, con “tempo” e “lavoro”.
Norman Cousins, scrittore e pacifista americano, affermava che:
“La morte non è la più grande perdita nella vita. La più grande perdita è ciò che muore dentro di noi mentre stiamo vivendo.”
Per questo, “non è mai troppo tardi” per riprendere in mano il filo della propria vita.
Per approfondire:
-Etchegoyen – I fondamenti della tecnica psicoanalitica;
- De Masi – “Psicoanalisi dell’anziano”;
- Corsi, Fattori e Vandi - “Vecchiaia e Psicoanalisi”.
Molti analisti hanno raccontato di come le cure di pazienti anziani possano essere sorprendenti: il vero ingrediente trasformativo, di ogni cura, infatti, è il desiderio singolare del paziente, che l’analisi permette di far emergere e di mettere in forma.
Pearl S. King, ad esempio, ha descritto in modo approfondito come “i problemi del ciclo vitale di questi pazienti appaiono nitidamente nel transfert, dove possono essere compresi risolti con metodi strettamente psicanalitici” (tratto da Etchegoyen, pag. 33).
Il concetto di ripetizione si lega a quello di “atemporalità” dell’inconscio: se nella coscienza domina una concezione lineare del tempo, nell’inconscio passato e presente si intersecano, mescolandosi senza chiare distinzioni. Ciò che è stato continua ad essere, come se non il tempo non fosse mai trascorso.
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