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PSICOANALISI DEL CAPO

Aggiornamento: 5 giorni fa

I grandi dittatori del Novecento sono stati a lungo sotto la lente dell’indagine psicoanalitica. Tra gli analisti più noti, furono soprattutto Sigmund Freud, Wilhelm Reich ed Erich Fromm a studiare la genesi dei totalitarismi e la figura del “capo carismatico”.


La prima guerra mondiale aveva sconvolto l’Europa: gli Imperi dell’Ottocento erano scomparsi, lasciando spazio a Rivoluzioni e al caos; le fragili democrazie faticavano a contenere le richieste popolari e socialiste. Nel “marasma” del primo Dopoguerra, la figura del “capo” emerse come portatore di ordine e disciplina, rapida e muscolare soluzione contro ogni male.


Nel capo, Freud coglie una figura capace di interpretare e di incarnare i desideri della folla: le individualità si perdono nella massa, trasformandola in un corpo compatto in diretto dialogo con il Capo, capace di essere tanto amante quanto padre/guida della folla.

Freud esplora il rapporto tra il Capo e la folla in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921);


Sigmund Freud


Reich osserva come la nascita e il diffondersi delle dittature altro non fosse che un movimento difensivo della psiche individuale e collettiva, contro la minaccia della libera circolazione ed espressione di pulsioni e desideri.

La repressione politica era quindi riflesso della repressione psichica contro gli impulsi inaccettabili. La repressione dell’inconscio diveniva quindi repressione delle libertà, individuali e collettive.

L’opera più importante che Reich dedica all’analisi della politica nell’Europa schiacciata dalle dittature è il celebre saggio “Psicologia di masse del fascismo” (1933)


Wilhelm Reich


Fromm arriverà ad intitolare un suo libro “Fuga dalla libertà” (1941), per sottolineare come l’epoca dei totalitarismi abbia avuto origine da un aspetto centrale del rapporto tra individuo, desideri e società. Fromm osserva come la dipendenza sia un aspetto centrale e da sempre presente nella vita umana: nasciamo dipendenti dall’Altro e in un mondo che ci precede.


Erich Fromm


Questa forma di alienazione è poi oggetto di contestazione e il suo superamento: il “liberarsi dalle catene” però non porterebbe alla felicità, bensì all’emergere dell’angoscia. Ecco che la repressione interviene, come un tappo, a impedire l’emergere di quei contenuti inconsci che potrebbero prendere il sopravvento sull’Io, schiacciandolo.


L’angoscia è infatti il segnale, per come lo intende Freud, dell’emergere di quanto rimosso, del suo “ritorno” in superficie.

Tutti questi autori concordano nella necessità di esplorare a fondo le caratteristiche del capo carismatico: cosa lo rende così speciale?


Freud, in “Totem e tabù”, aveva già sottolineato la centralità del Padre totemico come simbolo, come autorità superiore alla quale tutta la tribù si sottomette.

Negli anni successivi, Freud coglie come:


“Se però i bisogni della massa la portano verso un capo, le doti personali di costui dovranno corrispondere alle aspettative della massa. Perché essa creda in lui, anche il capo deve subire il fascino di una fede (di un'idea) potente, deve possedere una volontà forte, imperiosa, tale da venir accettata dalla massa abulica.”


Il prestigio di cui parla Freud altro non è che la suggestione, il transfert che il capo sa evocare nella sua folla. Il capo incarnerebbe il prototipo di pregi e difetti dei singoli che compongono la folla, in una mescolanza familiare e seducente.


Freud aggiunge che:


“siamo già in grado di intuire che il legame reciproco tra gli individui componenti la massa ha la natura di quest'ultima identificazione dovuta a un'importante co1nunanza affettiva; e possiamo supporre che questa comunanza sia data dal tipo di legame che si stabilisce con il capo. Ma intuiamo anche un'altra cosa: che siamo

lungi dall'aver trattato esaurientemente il problema dell'identificazione e che ci troviamo in presenza del processo che la psicologia chiama "immedesimazione", e che più di ogni altro ci permette d'intendere l'Io estraneo di altre persone.”


Per indurre questa “immedesimazione”, il capo deve offrire, come un provetto attore al suo pubblico, gli attributi e le caratteristiche che la folla desidera e si aspetta di trovare.


Tra capo e folla si crea quindi un legame speciale, di reciproca suggestione, che li unisce come l’amore lega due individui. In questo senso, abbiamo un massimo esempio di capo carismatico nel dittatore italiano Mussolini.


Denis Mack Smith, storico e biografo inglese, affermò che “è un fatto che durante tutta la sua vita il vero Mussolini fu largamente occultato da una successione di maschere, e forse ognuna di tali maschere rivela in qualche modo aspetti autentici del suo carattere.”


In quanto “capo” infatti, nulla interessa della dimensione privata, delle reali intenzioni o dell’intimità del leader: l’unica cosa che conta è ciò che mostra alla folla, la “maschera” che indossa e che offre per suscitare la suggestione.


Mussolini durante un comizio davanti alla folla


La sfida del capo è di mantenere vivo il rapporto di suggestione, senza che la folla smetta di credere che il suo capo possa essere la soluzione a tutti i problemi.

In un celebre discorso, Mussolini, oramai da molti anni al potere, domanda alla folla: “ditemi, è forse cambiato qualcosa tra noi?” e la folla, assiepata sotto il palazzo, urla unanime: “no!”.


Come in un religione, nella quale il confine tra il sacro e il ridicolo è sempre incerto e sottile, nel rapporto tra capo e folla si gioca la realizzazione, che diviene poi parodistica, dell’ideale; ne sono prova le osservazioni di Giuseppe Bottai, per tanti anni tra i dirigenti del Regime, ministro delle corporazioni e dell’educazione nazionale, che descrisse Mussolini così:


“è come una centrale elettrica, che accende una sola lampadina”


L’incredibile attivismo del dittatore produceva poi un effetto misero: un’enorme macchina organizzativa per illuminare un uomo solo. Non a caso, lo stesso Bottai definì il regime “una dittatura sulla punta di uno spillo”: attaccare qualsiasi difetto del regime significava infatti, inevitabilmente, attaccare Mussolini; il regime non poteva quindi essere riformato neanche dall’interno, perché “ogni colpo finiva per essere un colpo al centro”, cioè a Mussolini stesso.


Mussolini era infatti descritto come “sempre giovane” (era vietato fare riferimento al suo compleanno sui giornali), capace di praticare qualunque sport, lavoratore instancabile (la luce del suo ufficio era sempre accesa), sempre in salute (invece soffriva di una dolorosissima ulcera, che causò diverse emorragie interne).


I titoli si moltiplicavano, facendo del dittatore una figura gigantesca: “Grande nocchiero”, “Dinamo umana”, “Capo spirituale dell’Europa”, “Principe della stirpe”, “Dominatore della filosofia”, “Aeronauta del pensiero”, “Colonna del mondo”, “Messo di Dio”, “Grande Mago”, “Genio universale”, “Incarnazione del veltro dantesco”, infine “Uomo della Provvidenza”.


Il capo fa tutto, pensa a tutto, risolve tutto. Il dinamismo mussoliniano tuttavia ha avuto una pesante eredità: Piero Gobetti infatti afferma che:


“Il mussolinismo è [...] un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l'abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza.”


L’apparato di propaganda era così efficace che ognuna delle centinaia di migliaia di lettere che Mussolini riceveva durante gli anni del suo governo riceveva una risposta, scritta dagli impiegati dei ministeri: a tutti si offriva l’immagine di un Padre attento, in ascolto, interessato ai problemi della gente.


Per approfondire:

-Sigmund Freud – Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921);

-Wilhelm Reich – Psicologia di massa del fascismo (1933);

-Erich Fromm – Fuga dalla libertà (1941);

-Roberto Zapperi - Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista (2013).



Il “dinamismo” mussoliniano trova degli echi potenti nell’arte italiana degli anni del regime. Ne è un esempio paradigmatico il “profilo continuo” dello scultore Renato Bertelli.


La statua di Bertelli rappresenta un inconfondibile profilo del dittatore, osservabile solo dal profilo dell’opera. Chiamato anche “ritratto rotante”, l’opera di Bertelli simboleggia plasticamente il superomismo mussoliniano: il Duce vede tutto, è rivolto ovunque, nulla gli sfugge, allo stesso istante.


Rielaborazione artistica del busto di Giulia Iaquinta


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