Più potenti dei Titani e delle divinità dell’Olimpo, le Moire rappresentano tra le più potenti figure della mitologia greca.
A volte considerate figlie della dea Notte, a volte di Zeus e della dea Temi, il compito delle Moire era allo stesso tempo fondamentale e drammatico: per ciascun essere umano, le Moire tendevano un filo, simbolo della vita terrena, per deciderne la durata; una volta svolto e teso il filo, avrebbero deciso quando tagliarlo, segnando la fine dell’esistenza.
Chiamate le “tessitrici della vita”, avevano ciascuna un preciso compito: Cloto reggeva il filo; Làchesi decideva quanto filo concedere a ciascuno; infine Atropo, chiamata “l’inesorabile”, avrebbe avuto il compito di recidere il filo, attribuendo, con un taglio, l’inizio e la fine della vita.
"Le tre parche" di Bernardo Strozzi
Làchesi utilizzava per il suo compito due diversi stami: uno stame bianco, reso prezioso da fili d’oro, era utilizzato per offrire alla vita mortale la gioia di momenti felici; uno stame nero invece era legato a giorni di sventura.
Le tre Moire dimorano nell’Ade e, secondo la loro iconografia classica, avrebbero l’aspetto di donne anziane e decrepite.
La loro esistenza rappresenta simbolicamente un aspetto centrale del pensiero greco: la sua linearità. Per i Greci antichi, il tempo era legato ad un destino fatale ed ineluttabile. Da un’originaria età dell’oro, il mondo sarebbe andato incontro a fasi successive, segnate da una crescente decadenza e conflitto.
"Le tre parche" di Emilio Notte
L’azione delle tre Moire avrebbe regolato il funzionamento del cosmo, permettendo l’alternarsi sulla terra dei mortali. La morte avrebbe permesso alle nuove vite di farsi spazio, rinnovando la vita nel mondo.
Platone considera le tre Moire figlie di “Ananke”, la necessità: Làchesi avrebbe avuto il compito di decidere il passato, Cloto il presente ed infine Atropo il futuro dei mortali (come narrato nel decimo Libro della “Repubblica”).
Per gli antichi Greci, al momento della nascita viene quindi deciso il destino di ciascun mortale: un destino già scritto viene stabilito e nemmeno il potere delle divinità può opporsi alle decisioni delle Moire o della Necessità.
Come scrive Eschilo:
“Chi governa la Necessità?” -
“Le Moire che tessono il filo e le Erinni dalla memoria implacabile” –
“E Zeus è più debole di loro?” -
“Anche Zeus non può sfuggire a ciò che è destinato”.
La concezione giudaico cristiana si oppone alla fatalismo greco, introducendo invece una nuova visione del mondo, legata al concetto di “salvezza”: il “taglio” delle Moire è sostituito dalla redenzione della conversione.
Il concetto di “taglio” delle Moire è prezioso per riflettere sul lavoro della Psicoanalisi. Se il “taglio” delle Moire è un taglio inaugurale, che determina un destino immutabile, il “taglio” della Psicoanalisi giunge alla fine della seduta, per creare qualcosa di nuovo.
"Le tre parche" di Francesco Salviati
Ma cos’è un “taglio”? Si definisce “taglio” l’atto che l’analista compie nel concludere la seduta. Lo scopo del taglio è quello di introdurre una torsione inedita al discorso dell’analizzante. Un taglio mette luce su ciò che era inconscio, non visto, nelle parole del paziente. L’atto dell’analista mette come una “nuova punteggiatura” nel discorso, tra le parole, facendo emergere una prospettiva inedita, prima invisibile.
Questo taglio che coincide con la fine della seduta costituisce un elemento di grande complessità, difficile da padroneggiare: il taglio richiede all’analista di assumersi la responsabilità del proprio atto; grazie all’atto, l’analizzante è esposto a qualcosa di nuovo ed imprevedibile.
Se il taglio delle Moire fissa in modo indelebile il destino, il taglio dell’analista invece apre, scompagina, riscrive, apre ad un destino nuovo, ancora da scrivere.
Il taglio dell’analista assomiglia al taglio del sarto: se il discorso del paziente è come un tessuto grezzo, l’analista artigiano riesce a cogliere con quale taglio dare al tessuto una forma nuova, facendo emergere l’abito che solo in potenza il tessuto può diventare.
Facciamo un esempio: parlando del rapporto con il padre, un giovane paziente, morso dai sensi di colpa, afferma: “Ho esagerato… mi sto montando la testa!”. L’analista interviene tagliando la seduta su queste parole. Il giovane paziente, lascia la seduta, sorpreso e pieno di dubbi.
Tornerà alla seduta successiva, dicendo: “è vero, mi sono montato una testa, la mia!”. Il paziente è passato dal senso di colpa alla gioia e l’orgoglio per l’avere finalmente una testa propria, per poter pensare qualcosa di nuovo e di diverso da quanto l’Altro genitoriale vuole per lui.
Il taglio apre su una nuova scena, ma anche sul non senso: così come il corpo può essere trasformato dall’incisione del taglio, così il discorso può aprirsi sulla vertigine del “non-senso”, del godimento che porta con sé.
In questa ottica, il taglio della seduta interviene ad operare una separazione tra soggetto e godimento: tagliare la seduta, come effetto sorpresa, incide il rapporto tra il paziente e la sua parola mostrando come il linguaggio non serva “solo” a comunicare, ma a trovare una soddisfazione, il godimento del “bla bla bla”, della parola vuota.
Se le Moire segnano un destino fatale e ineluttabile con il proprio taglio, il taglio dell’analista apre alla possibilità di far emergere qualcosa di nuovo.
Per approfondire:
-Felice Cimatti – Il taglio;
-Gianluca Solla – Cosa può un taglio?
-Maria Teresa Maiocchi – Il taglio del sintomo.
Le Moire costituiscono un vero e proprio simbolo del destino; esse sono presenti anche nella cultura latina, nella quale sono chiamate “Parche”; inoltre sono segnalate anche nella cultura norrena, nella quale sono chiamate “Norne”.
Anche nella cultura norrena, l’unica entità eterna sarebbe il “destino”, stabilito dalle Norne, il cui nome significa “colei che sussurra il futuro”.
La presenza della figura delle Norne nella cultura nordica implica, anche in questo caso una concezione “finita” dell’esistenza: ogni essere umano, animale o vegetale, è chiamato ad un destino di morte e scomparsa. Sono proprio le Norne le uniche creature legate ad un concetto di eternità.
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