Jacques Lacan è uno degli psicoanalisti più noti e influenti del Novecento. Le sue idee hanno segnato in modo profondo la clinica e la teoria psicoanalitica. L’opera di Lacan mette le proprie radici nella necessità di un “ritorno a Freud” e allo spirito originario della Psicoanalisi, ammorbidita e ridotta a mera psicologia dagli allievi di Freud.
La teoria del soggetto di Lacan è molto diversa da quella dei post-freudiani della “Psicologia dell’Io”: se per gli psicoanalisti americani ed inglesi la follia va intesa come “debilità”, come un “deficit”, che impedisce al malato di svolgere le proprie funzioni nel mondo sociale, nel lavoro e nelle relazioni, per Lacan è necessario intendere in modo nuovo la condizione del folle.
Per la “Psicologia dell’Io” la follia sarebbe il risultato di un eccessivo indebolimento dell’Io del paziente: la terapia allora consiste nel rinforzare questo Io fragile e frammentato, dandogli consistenza e forza. Parafrasando Freud, l’Io dovrebbe finalmente divenire “padrone in casa propria”.
Per raggiungere questo scopo, il modello ideale da proporre al paziente sarebbe l’Io dell’analista, rinforzato e curato dalla cura psicoanalitica affrontata dall’analista nel corso della propria formazione.
Per Lacan, al contrario, la follia più grande dell’uomo sarebbe l’eccessiva fiducia nell’Io. Prendendo alla lettera l’insegnamento freudiano, Lacan individua nell’inconscio il luogo della ragione più intima e autentica del soggetto.
L’io invece sarebbe un “sintomo” dell’uomo.
Proprio come Cartesio, Lacan torna a domandarsi “Chi sono?” per rintracciare le radici della soggettività.
Jacques Lacan
Come insegna Freud, l’Io è costituito da una serie di identificazioni, attraverso le quali l’individuo cerca di darsi un’identità, di rispondere alla fatale domanda: “Chi sono?”.
Se l’Io si convince di essere il padrone della psiche e dimentica di essere la mera somma di questi strati di diverse identità, quello che ne risulta è una follia di padronanza che nega il peso determinante dell’inconscio. L’Io si erge a pilastro della psiche, spingendoci a credere all’equivalenza Io=coscienza=psiche.
Lacan lo spiega in modo molto chiaro:
“Il nucleo del nostro essere non coincide con l’io...E così vi mettete a pensare, normalmente, che questo io (je) è il vero io… Così avete fatto questo decentramento essenziale della scoperta freudiana… Indubbiamente, il vero io (je) non sono io… Si tratta di altro – un oggetto particolare all’interno dell’esperienza del soggetto. L’io è letteralmente un oggetto – un oggetto che adempie una certa funzione che chiamiamo immaginaria.”
(Jacques Lacan, Il Seminario, Libro II, L’io e i meccanismi di difesa, pag. 56)
In modo provocatorio, Lacan afferma che, ancora più che nel delirio e nell’allucinazione, la follia umana sia da ricercare nel “credersi un Io”, cioè nella certezza circa la propria identità.
Non a caso, il nevrotico è un soggetto diviso, consumato dal dubbio. Lo psicotico invece, come i grandi paranoici dimostrano, è abitato dalla certezza inscalfibile sulla propria identità. L’identità cerca e senza scarti del folle appare allora come un tappo, necessario ad eliminare l’angoscia scatenata dall’incertezza circa il proprio essere.
Sigmund Freud
Se l’Io ha certamente un ruolo centrale nella costituzione dell’identità e della soggettività, come lo “stadio dello specchio” dimostra, esso non esaurisce l’intera soggettività né ne costituisce il centro.
Il centro della soggettività, il suo cuore pulsante più autentico, l’origine del talento e della particolarità più intima di ciascuno, avrebbe le proprie radici nel “soggetto dell’inconscio”, nel desiderio che ci abita.
“Credersi un Io” significa quindi rifiutare la scoperta freudiana, elevando di nuovo l’Io a centro della psiche.
Lacan ironizza su questa dialettica interna al soggetto:
“Non mi si dica che faccio dello spirito, e della qualità che si mostra nel detto per cui Napoleone era un tale che si credeva Napoleone. Napoleone infatti non si credeva affatto Napoleone, ben sapendo con che mezzi Bonaparte avesse prodotto Napoleone, e come Napoleone, al pari del dio di Malebranche, ne sostenesse in ogni istante l'esistenza.
Se mai si è creduto Napoleone, è stato nel momento in cui Giove ha deciso di perderlo”
Credersi un Io sarebbe quindi una forma di inganno fondamentale, di accecamento rispetto all’essenza della scoperta freudiana: “l’Io non è il padrone in casa propria”.
Per questo, Lacan arriva ad affermare che:
“Conviene anche osservare che se un uomo che si crede un re è pazzo, un re che si crede un re non lo è meno.”
(Jacques Lacan, Discorso sulla causalità psichica”, in Scritti)
Credersi un re, ritenere di avere la risposta alla domanda “Chi sono?”, emerge nella sua chiara dimensione difensiva, come una barriera rispetto alle inquietudini scatenate dal rapporto perturbante con l’inconscio.
Per Lacan, quindi, la follia umana affonderebbe le proprie radici nel narcisismo: l’identità dell’individuo con sé stesso altro non sarebbe che un delirante tentativo di padroneggiare e controllare quanto invece è incontrollabile per struttura, capace di sottrarsi ad ogni padronanza.
La salute, al rovescio, avrebbe come fondamento il riconoscimento di questa divisione costitutiva dell’umano, necessaria per far emergere quanto l’inconscio può svelare: la natura del nostro desiderio.
Per approfondire:
-Jacques Lacan - Il Seminario, Libro II, L’io e i meccanismi di difesa;
-Anna Freud - L'Io ed i meccanismi di difesa;
-Sigmund Freud – L’Io e l’Es.
Ogni percorso analitico passa per la necessaria decostruzione delle credenze che, come gli strati di una cipolla, hanno avvolto il centro – vuoto della soggettività.
In questo Lacan si avvicina al pensiero orientale: la relativizzazione dell’importanza dell’Io nell’economia psichica apre ad uno spazio inedito, nel quale può prendere forma il discorso del soggetto al di là dell’Altro.
Qual è il nostro talento? Qual è il nostro desiderio?
Come si domanda Lacan:
“Agiamo in conformità al desiderio che ci abita?” oppure seguiamo il progetto che l’Altro ha costruito per noi?
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