LACAN E IL CAVALLO DI TROIA
- riccigianfranco199
- 9 apr
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Il cavallo di Troia è una celebre invenzione di Ulisse, sovrano di Itaca e uomo “dal multiforme ingegno”. Come racconta ampiamente Virgilio, tramite la voce dell’esule Enea, nel secondo libro dell’Eneide, il cavallo è l’asso nella manica grazie al quale gli Achei riescono ad espugnare la città governata da Priamo.
Consumati da un lungo assedio durato oramai 10 anni, gli Achei decidono di tentare la conquista della città dalle alte mura con un inganno: fingere di abbandonare il loro campo e di salpare con le loro navi; sulla battigia avrebbero lasciato un enorme cavallo di legno, dono sacrificale per aver saccheggiato un tempio.
Un acheo, chiamato Sinone, salvatosi all’ultimo da un terribile sacrificio umano compiuto per propiziare il ritorno dell’esercito, avrebbe confermato la partenza dell’esercito invasore. In realtà anche Sinone era parte del piano acheo: la sua menzogna sarà decisiva per convincere i troiani della partenza degli odiati nemici.
Il sacerdote Laooconte tenterà di convincere i sudditi di Priamo della natura maligna del cavallo, senza tuttavia trovare ascolto. La dea Atena, alleata degli Achei interviene per fermarlo, inviando due terribili serpenti che uccidono, nella stretta delle loro spire, Laooconte e i suoi figli.
Sinone afferma che il cavallo è stato costruito di una dimensione tale che i troiani non potessero portarlo nella città: provocati, i troiani cadono nel tranello, cominciando a demolire parte delle loro alte mura per introdurre il cavallo in città.
Nel frattempo, i soldati achei, guidati da Ulisse, nascosti nella gigantesca struttura di legno, attendono l’arrivo della notte: una volta calato il sole, escono dal cavallo ed eliminano i Teucri, alleati di Priamo, posti come sentinelle a guardia del cavallo. Padroni della situazione, Ulisse e gli alleati aprono le porte della città, dando via al saccheggio.
L’esercito di Agamennone, tornato sul litorale, assalta la città, distruggendola.
Jacques Lacan, nel corso del Seminario XVI, “Da un altro all’Altro”, riprende il celebre tema del cavallo, per spiegare un aspetto centrale dell’esperienza analitica: la funzione dell’analista.

L’analista chiede al paziente di parlare: tuttavia, se il cavallo di Troia è pieno di soldati, l’analista sarebbe come un “cavallo di Troia invertito”: Luis Izcovich sottolinea come dal ventre di questo cavallo-analitico non esca niente, anzi, è “piuttosto un ventre che aspira” che “aspira i significanti dell’Altro”.
Aggiunge Izcovich:
“l’analista capta, aspira, assorbe i significanti dell’Altro e stimola l’analizzante a consegnare quei significanti.”.
L’analista invita il paziente a dire tutto quello che gli viene in mente, di fatto facendogli scavare un “buco” nel luogo dell’Altro: più parla, più questo Altro si svuota.
Operato questo svuotamento, il paziente comincia a produrre un “discorso nuovo”, producendo un soggetto che fuori dall’analisi non avrebbe potuto avere luogo. Nel corso dell’analisi, il soggetto può quindi lavorare i significanti che provengono dall’Altro, dando inizio al vero e proprio lavoro d’analisi.
“Liberare spazio” lavorando i significanti dell’Altro permette l’emergere di un discorso nuovo, con l’emergere di nuovi significanti che articolano in modo inedito la vita del soggetto.
Per questo, se nel corso della vita possiamo dire che il soggetto si costituisce a partire dal posto che l’Altro gli assegna e con i significanti tramite i quali è “parlato”, in analisi invece avviene una “fondazione del soggetto”: l’apparizione del soggetto, al di là dei significanti dell’Altro permette di dare corpo e articolazione ad un discorso nuovo.

Per approfondire:
-Jacques Nassif – “Il cavallo di Troia”;
-Jacques Lacan – “Il Seminario. Libro XVI. Da un altro all’Altro”;
-Luis Izcovich – “Il savoir-faire dello psicoanalista”.
Individuare i significanti fondamentali del discorso è un’operazione fondamentale nella conduzione di una cura: quali significanti fanno da perno della vita del paziente? Come si articolano?
Questi significanti provengono dall’Altro e marchiano l’esistenza del soggetto in modo indelebile: Lacan li chiama S1.
Individuarli e articolarli permette al soggetto di andare al di là del discorso che ha determinato la sua sofferenza, sganciandolo dal godimento mortifero che lo vincola alla ripetizione dello stesso.
In questo senso si apre per il soggetto la possibilità del “nuovo”, inteso come nuovo discorso che permette al soggetto di fare esperienza della vita senza la quota di sofferenza che lo vincolava al sintomo.
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