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LA STORIA DEL RE FOLLE - GIORGIO III

Giorgio III è considerato uno dei sovrani più celebri della storia della Corona Britannica.

La sua fama non è dovuta tuttavia alle sue imprese militari o politiche; il suo Regno non è ricordato per lungimiranti politiche o riforme.

Anzi, proprio sotto il suo regno le colonie americane della costa est si ribellarono, dando inizio alla Guerra d’Indipendenza Americana (1775 -1783), fino alla Proclamazione dell’indipendenza degli Stati Uniti.

La vita del Re Giorgio è divenuta celebre, oggetto di numerosi studi ed opere, per il tragico peso della follia.


Prima dei 30 anni, il giovane sovrano, incoronato da soli 5 anni, cominciò a dare segni di squilibrio mentale, tanto da rendere impossibile partecipare alle attività della corte.


Il ritratto ufficiale di Giorgio III al momento dell'incoronazione


La storia di Giorgio III mostra con chiarezza l’effetto devastante della follia sull’identità e sul ruolo sociale di chi è colpito da una malattia mentale.

Come ogni erede al trono, Giorgio è stato cresciuto per essere un “Re”, un degno sovrano del suo popolo. Anni e anni di rigida educazione di corte ne avevano plasmato il carattere e la personalità, dandogli una precisa identità: il sovrano infatti era stato cresciuto per prendere, al momento necessario, il posto del padre sul trono inglese.


Una volta divenuto Re, Giorgio diede inizio al suo lunghissimo regno (oltre 60 anni sul trono d’Inghilterra) pronunciando un audace discorso, nel quale proclamava il suo desiderio di servire l’Inghilterra in ogni modo, in un mondo in rapida trasformazione: il XVIII secolo è stato infatti un secolo segnato da scoperte geografiche, conquiste e guerre sanguinose, condotte in tutto il mondo; l’Inghilterra era al centro di una profonda trasformazione, economica e sociale, grazie alla prima grande Rivoluzione Industriale.


Apparentemente, Re Giorgio svolse tutti i compiti richiesti ad un sovrano: compiere i doveri di corte, lavorare con il Governo, i Ministri e il Parlamento, dare alla luce degli eredi per il trono, che potessero un giorno prendere il suo posto.


Tuttavia, dal 1765 i segni di follia divennero sempre più evidenti: il sovrano era spesso scosso da terribili crisi epilettiche; emerse in modo sempre più marcato la coprolalia: il linguaggio del sovrano divenne sempre più confuso e privo di senso; nel corso del suo regno si verificarono cinque lunghi periodi di ritiro depressivo e di alienazione.

In quei momenti drammatici, il sovrano rifiutava ogni contatto e tutti i tentativi di ricondurlo alla ragione erano vani. Acceso d’ira e profondamente confuso, Giorgio gettava i propri escrementi contro chiunque cercasse di contenerlo.


Durante l’ultimo di questi attacchi, la corte decise di rimuoverlo dal suo trono, per il “bene del Regno”: il figlio, il futuro Re Giorgio IV, prese il controllo del Regno, dando inizio all’epoca chiamata “Età della Reggenza”, conclusa solo con la morte del Re Giorgio III.


A lungo gli scienziati e gli intellettuali si sono interrogati sulle ragioni della “follia del Re Giorgio III”: studi scientifici di questi anni hanno rilevato due cause principali; da una parte sono state trovate tracce di arsenico e piombo nei resti del Re, sostanze velenose e capaci di alterare il funzionamento del cervello. Dall’altra è stato scoperto un difetto genetico, capace di alterare la sintesi di alcune proteine, la porfiria.

Alla sofferenza psichica il sovrano univa un preoccupante stato di sofferenza fisica, con evidenti segni di avvelenamento da piombo.


Una caricatura satirica che sbeffeggia il "Re folle"


Nei diari dei medici di corte si alternano impressionanti descrizioni dello stato mentale del sovrano: “Abbiamo visto Sua Maestà in uno stato di profondo delirio, con forti impressioni e allucinazioni; risponde con esclamazioni e versi senza senso”.


Cosa accade al sovrano una volta comparsi i sintomi della follia? Come cambia il suo posto a corte e nella Società? Che ne è della sua identità?


Al di là della riflessione sulle cause della sua follia, la storia di Giorgio mostra l’effetto drammatico della follia sull’identità e sul ruolo sociale dell’uomo; oramai considerato “folle”, Giorgio viene confinato nel castello di Windsor, costretto ad indossare una giacca di contenzione. Cosa ne è di lui? Chi è Giorgio? Un sovrano o un folle?


L’uomo scompare per lasciare posto al folle, considerato una minaccia da contenere e nascondere.

Un vero e proprio processo di degradazione e alienazione si sovrappone alla follia: si tratta di quella che Basaglia chiamerà “malattia istituzionale”, sovrapposta alla sofferenza mentale.


Il folle non è più un cittadino dotato di dignità e diritti, ma un pericolo, un problema ingestibile da affrontare con ogni mezzo, compresa la violenza. Tra le varie forme escogitate, vi è la reclusione nei manicomi. Nati come luoghi di cura, i manicomi emersero poi in modo chiaro come vere e proprie prigioni, luoghi di violenta e brutale segregazione.


Il XVIII secolo è l’epoca nella quale il manicomio e la contenzione del folle si impone in Europa come modello unico di trattamento della malattia mentale: i manicomi divengono vere e proprie prigioni nelle quali nascondere la follia, per nasconderla agli occhi della Società.


Il folle, reso prigioniero, escluso dalla società, è ridotto ad un prigioniero, indegno del trattamento riservato agli altri cittadini. Nell’Inghilterra del XVIII secolo è questo il destino per criminali, poveri e folli: venire reclusi, nascosti, cancellati dalla società.


L’identità di un uomo cresciuto per essere un Re scompare, per effetto della follia e della Società che rifiuta ogni contatto con la malattia mentale: il re diviene un prigioniero, maltratto dai medici divenuti carcerieri.


Solo nel XX secolo la follia potrà trovare, con grande fatica un nuovo posto nella Società, fuori dai cancelli e dalle tetre mura dei manicomi: l’opera di psichiatri come Franco Basaglia renderà possibile vedere nel folle un cittadino come gli altri, ingiustamente privato dei suoi diritti, costretto ad una prigionia forzata, senza fine, a causa della malattia che lo colpisce.


La storia del Re folle Giorgio III mostra la natura fragile dell’identità: di cosa è fatta l’identità dell’uomo?

Nello scritto “Discorso sulla causalità psichica”, lo psicoanalista francese Jacques Lacan afferma:


“conviene anche osservare che se un uomo che si crede un re è pazzo, un re che si crede un re non lo è meno.

Lo provano l'esempio di Luigi I I di Baviera e di talune altre regali persone, e il “buon senso” comune in nome del

quale si esige a buon diritto delle persone poste in questa situazione “che giochino bene il loro ruolo”, ma si sente con

imbarazzo l'idea che “ci credano” davvero, foss'anche attraverso una superiore considerazione del loro dovere di incarnare una funzione nell'ordine del mondo…”


(Discorso sulla causalità psichica, pag. 164-165).


Per Lacan, la “vera follia dell’uomo” non sarebbe che l’illusione dell’uomo di coincidere con se stesso, con il proprio Io. Un Re che si crede un Re non fa altro che condannarsi a negare tutto quanto lo riguarda che rimane esterno al suo compito.


La storia di Re Giorgio ne è un esempio chiaro: la follia del sovrano giunge come una terribile negazione della sua identità di Re; Giorgio non è infatti “solo” un sovrano, ma un soggetto chiamato a fare i conti con la propria follia.


La tragica vicenda del Re Giorgio mostra come il tentativo di “costruire un Re che diventi Re” sia la vera follia, perché ignora quanto complessa sia la soggettività umana.

L’essere Sovrano, compito per il quale Giorgio era stato addestrato per tutta la vita, centro della sua identità, scompare davanti al peso della follia.


Così, per ciascuno si tratta di fare i conti con la “follia dell’Io”, il seducente inganno di credere che la soggettività umana sia riducibile solo all’Io, negando il ruolo, spesso inquietante, dell’inconscio e della follia, presenti in ciascuno.

L’illustrazione è opera di Giulia Iaquinta.


Per approfondire:

-Jacques Lacan – Discorso sulla causalità psichica;

-Stanley Ayling – Giorgio III.



L’opera di Basaglia è fondamentale per problematizzare l’intreccio tra la follia, il suo trattamento e le sue inevitabili implicazioni politico sociali: la follia reclusa nei manicomi riflette un più ampio movimento di rifiuto del folle, ridotto a essere disumanizzato e degradato, privato dei più basilari diritti a causa della sua condizione.


Il recupero della dignità del folle passa per una presa di consapevolezza politica del tema della salute mentale: non vi è trattamento possibile della follia senza dignità e inclusione del malato nella Società. Ogni forma di segregazione del malato riflette logiche di una scelta politica: non volerne sapere della follia e della fragilità, per inseguire logiche di profitto e prevaricazione.

 
 
 

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