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“LA PIETÀ” DI JAGO

Jago è uno degli artisti più interessanti del panorama italiano ed internazionale. Fuori dal circuito delle gallerie e delle Accademie, autodidatta, ha saputo imprimere uno stile personale e riconoscibile nelle proprie opere: un vero e proprio linguaggio artistico.

L’opera “ La Pietà” (2021) è un chiaro esempio della poetica artistica che anima il lavoro di Jago:

“Storicamente la figura paterna è stata molto poco affrontata.

Sono state fatte una miriade di pietà, sempre una pietà materna.

C'è la madre che accoglie, supporta, accompagna, che patisce. La figura maschile è sempre stata legata nella maggior parte dei casi al violento...

Ma esiste un'altra categoria... Poi ci sono gli uomini. Come ci sono le femmine e le donne. Allora un uomo sa essere anche un padre, può essere un padre. Mi interessa sottolineare il ruolo della figura maschile.”


Jago, "La pietà", 2021, Marmo scultoreo, Napoli


L’opera cattura lo sguardo dell’osservatore per l’essenzialità della forma e l’estrema cura dei dettagli, suscitando in ognuno suggestioni, emozioni e associazioni diverse:

“Non ho necessità di aggiungere niente di più rispetto a quello che ho fatto. Tu vedi quello che vuoi. Le parole che ti dico le riempi dei tuoi contenuti, dei tuoi significati. Mi limito a lasciare una cosa così com’è, posso parlare delle mie motivazioni, ma significherebbe chiudere una porta, avendo voce in capitolo. Significa chiudere una porta all’altro. Io invece voglio aprire le porte.”


Nella scultura di Jago è centrale il ruolo del corpo come dinamico, vivo e vitale. Le figure sono come attraversate da uno spasmo, catturate nel momento dell’azione; la cura dei dettagli della superficie, resa nei più fini dettagli della pelle, rende lo spettatore partecipe di una scena, non di una “mera rappresentazione”.


Come afferma Jago:

“Anche l’elemento umano del corpo… mi piace utilizzarlo come elemento grammaticale. Il mio vocabolario del corpo. Veicolo attraverso il corpo… (Il corpo) supera la prova del tempo. Un corpo è un corpo. Il tentativo di comunicare sempre allo stesso livello, essere sempre contemporaneo.”


“L'arte, se esiste un'arte, è un linguaggio... È una parola, quella. E tu la esprimi con la tua intonazione, con la tua vibrazione. Utilizzo un'immagine, quella immagini mi interessa per dire le mie cose, nel mio momento.”


Ne “La pietà” la ricerca di questa vibrazione è evidente: il volto disperato del Padre spinge lo sguardo sul corpo esanime, senza vita, del figlio. Il vigore dei corpi attira e seduce. L’assenza di riferimenti religiosi rende il tema della “pietas” universale, al di là del tempo e dello spazio.


L’opera si trova esposta a Napoli, presso la Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi nel Rione Sanità.


Il talento di Jago va al di là delle sue opere. Giovane e attento ai linguaggi contemporanei, Jago ha voluto, fin dai suoi esordi, condividere con il suo pubblico ogni passaggio del proprio lavoro: dagli aspetti tecnici ai principi che animano la sua vena creativa.


I canali social dell’artista diventano quindi una vera e propria galleria aperta a tutti, nella quale esporre, raccontare e condividere.


Come sottolinea l’astista parte dell’opera è il processo di creazione e ricerca che la precede e la accompagna, non solo il risultato finale: “spesso il dietro alle quinte è molto più interessante dell’opera stessa!”, afferma.


Jago racconta:

“Dico sempre che faccio polvere e rumore. La polvere è la possibilità di lasciare un'impronta. Quella polvere si poggia, come quando appena nevica. L'impronta è la testimonianza della nostra immagine materiale, della nostra impermanenza. Si cancella anche lei. Per un attimo sembra che ci siamo perché abbiamo lasciato un'impronta.”


L’impronta assume quindi la funzione di atto, segno, significante aperto ad ogni possibile significazione.


“Evitare di spiegare ciò che c’è a monte rende l’immagine di tutti, ognuno vi partecipa in modo diverso.”


L’arte è sempre stata uno degli ambiti di maggior interesse per la psicoanalisi. Se per molti l’opera d’arte costituisce un canale per conoscere l’inconscio dell’artista, Lacan ha sottolineato nei suoi seminari come l’opera stessa possa essere intesa come una formazione dell’inconscio, frutto cioè delle stesse leggi che regolano l’inconscio.


L’arte come linguaggio, come sottolineato da Jago, si colloca proprio lungo questo solco: non si tratta di evocare un significato rimosso o remoto, ma rendere possibile quel lavoro aperto del significante che conduca all’emergere della realtà soggettiva di ciascuno.


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