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LA PASSIONE DI LACAN PER I NODI

Negli ultimi anni del suo insegnamento, Lacan ha introdotto i nodi: il nodo borromeo, il nodo a quattro, il nodo a tre, il nodo trifoglio…


Già nel corso del Seminario IX, “Le identificazioni” (1961-1962), inedito, Lacan aveva introdotto diverse “figure topologiche”: il toro, la bottiglia di Klein, il cross-cap.

Perché? Negli anni sessanta, la psicoanalisi nord americana aveva preso una precisa deriva: divenire una semplice branca della psicologia, fondando la teoria psicoanalitica sull’etologia, sulla ricerca empirica di laboratorio e sul ridurre i fenomeni psichici a certi correlati neurali.


Lacan durante una lezione del Seminario mentre disegna un nodo


Questo aveva un effetto drammatico sulla pratica della psicoanalisi, trasformandola da pratica basata sulla parola del paziente ad una forma di "pseudo cognitivismo", legato a formulazioni vaghe e generalizzanti.


Lo vediamo bene oggi, con teorie figlie di quella stagione: la teoria dell’attaccamento, legata al concetto di “modello operativo interno” e di “stile di attaccamento”, e la neuropsicoanalisi, che vedrebbe i meccanismi inconsci ridotti al mero funzionamento delle sinapsi e delle aree cerebrali.


Queste teorie, che vorrebbero ricondurre la psicoanalisi ad una biologia della mente, offrono modelli e categorie universali, facendo tuttavia perdere la dimensione radicale dell’esperienza analitica: il rapporto, sempre unico, di ciascun soggetto con la propria parola e il proprio desiderio.


Per questo, Lacan ha scelto di volgere altrove la propria ricerca, per fondare su altre basi la psicoanalisi, così da preservare il potenziale della scoperta di Freud: lo psicoanalista francese si è allora rivolto alla linguistica, alla logica matematica e alla topologia, quei campi del sapere che meglio permettono di cogliere la “logica” dei fenomeni linguistici e inconsci scoperti da Freud.


Negli ultimi anni del suo insegnamento, il ricorso ai nodi è stato lo strumento che Lacan ha messo in gioco per sondare un elemento decisivo: come si annodano tra loro i registri che caratterizzano l’essere parlante? In che modo l’immaginario, il simbolico e il reale si annodano tra di loro?

Lacan sceglie i nodi per una ragione precisa: “il nodo è utile a concepire un rapporto tra qualcosa e qualcosa d’altro”, dice.


La psicoanalisi mostra con chiarezza che il rapporto dell’uomo con il linguaggio (registro simbolico), con il proprio corpo (l’immaginario) e con la pulsione (il reale) non è naturale, ma cambia per ciascuno.


Anzi, la condizione umana, sottolinea Lacan, non sarebbe che un “insieme di fuori – natura”.

Ciascuno ha un proprio particolare “annodamento”, un modo particolare di mettere insieme questi tre registri.

Dice Lacan: “C’è una dinamica dei nodi. Non serve a niente, ma serra. Insomma può serrare, se non servire. Ma che cosa può serrare? Qualcosa che si suppone incastrato da questi nodi”.


Il nodo borromeo mostra l’annodamento dei tre registri.


Per questo la clinica dell’ultimo Lacan è chiamata “clinica borromea”: il nodo borromeo, simbolo presente sullo stemma della casata nobiliare italiana, serve a Lacan a mostrare l’annodamento possibile dei tre registri: simbolico, immaginario e reale.


Cosa succede se questo annodamento non funziona?

Per rispondere a questa domanda Lacan introduce il concetto di “Sinthomo”.


Per approfondire:

Jacques Lacan – Il seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo, 1975-1976.


Nello studio di Joyce, il celebre scrittore inglese autore dell’ “Ulysses”, di “Dubliners” e di “Finnegans Wake”, Lacan introduce il concetto di “sinthomo”.


Si tratta di una torsione del termine “sintomo”: Lacan riprende la sua dizione medievale, per farne un concetto nuovo, utile per spiegare il concetto di “supplenza” e di “scatenamento” della psicosi.


A cosa servono i nodi?

Come abbiamo visto, la funzione dei nodi è di mostrare il modo in cui i tre registri (reale, il simbolico e l’immaginario) determinano il funzionamento dell’essere parlante.


Tuttavia, a volte questo annodamento, non funziona: partendo dall’“uomo dei lupi” e dal “caso Schreber” di Freud, Lacan individua nella preclusione del simbolico la ragione strutturale della psicosi.

Qualcosa in questo annodamento non funziona: così è per Joyce, sottolinea Lacan:


“Il suo desiderio di essere un artista di cui si occupino tutti non vale forse a compensare il fatto che suo padre non è mai stato un padre per lui? Che non solo non gli ha insegnato niente ma ha trascurato praticamente tutto…” (Seminario XXIII, pag. 85)


Il desiderio di Joyce era di avere un “nome” come scrittore, di cui poi gli intellettuali e le università si occupassero per secoli; crearsi un nome era la supplenza trovata da Joyce rispetto all’impossibiltà di ricevere un nome, quello del padre, che lo iscrivesse in una catena simbolica, di padre in figlio.


Per questo, Joyce cerca di “nominarsi”, diventa scrittore.

Questo nome fa da supplenza al nome simbolico che Joyce non ha ricevuto dal padre: ecco il “sinthomo”, il quarto anello che permette al nodo di reggere, laddove, da soli, i tre registri si scioglierebbero.

Con il quarto nodo, il sinthomo, Lacan riesce a cogliere il funzionamento della supplenza simbolica che permette ad una struttura psicotica di reggere; ciò permette di non determinare, in modo rigido, l’emergere di franchi fenomeni psicotici, come la disorganizzazione del pensiero e del linguaggio. Questa supplenza permette al soggetto di trovare un posto, di “darsi un nome”.


La teoria dei nodi mostra inoltre la specificità dello scatenamento nella psicosi: questo equilibrio precario, assicurato dal sinthomo, che abbiamo descritto, può vacillare se sollecitato nei punti giusti.

Come sottolinea Miller nel suo commento del lavoro di Lacan sul caso freudiano dell’“uomo dei lupi”, sarebbe l’incontro con un Altro simbolico a svelare il “buco” della struttura, determinando il passaggio della psicosi da “ordinaria” a straordinaria”, cioè in aperto scompenso.

Il nodo supplementare del sinthomo si colloca proprio nel punto in cui il nodo fallisce, non regge, non altrove:


“Dicevo di correggere il lapsus nel punto stesso in cui si produce. Non va da sé. In effetti che cosa vuol dire che si produce nel tal punto? C’è un equivoco, poiché ne abbiamo la conseguenza in altri due punti. Ma ciò che colpisce è che in questi due punti non abbiamo le stesse conseguenze. Se fate attenzione potrete vedere, nel modo in cui il nodo risponde, che non otterrete lo stesso nodo se mettete il sinthomo nel punto preciso in cui si è prodotto l’errore, o se correggete la cosa negli altri due punti”. (Il Seminario XXIII, pag. 94)

Le immagini dei nodi appartengono alla Casa Editrice Astrolabio. Tutti i diritti sono riservati.

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