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LA BAMBOLA DI KAFKA

Aggiornamento: 16 ott

LA BAMBOLA DI KAFKA


Franz Kafka è stato uno degli scrittori più affascinanti e apprezzati del Novecento. Le sue opere sono cariche di suggestioni legate al difficile rapporto tra le generazioni, allo smarrimento davanti alle grandi scelte della Vita e ai temi dell’Esistenzialismo.


Kafka è stato così influente nella Cultura europea da lasciare una traccia indelebile non solo nella letteratura, ma anche nel cinema e nel teatro; abbiamo un esempio dell’influenza di Kafka anche nel linguaggio, con l’aggettivo “Kafkiano”, utilizzato per indicare l'assurdità e l'incomprensibilità delle situazioni in cui viene a trovarsi l'esistenza umana.


Il difficile rapporto col padre ha segnato profondamente la vita e l’opera di Kafka: in “Lettere al Padre” (1919), Kafka rivolge al genitore un vero e proprio atto d’accusa, che trova echi in altre opere come il celebre “La metamorfosi” (1915) e “Il processo” (1925).


Tuttavia, lo scrittore boemo è noto anche per una serie di suggestivi episodi, che mettono in luce la sua creatività e la capacità di cogliere una dimensione poetica anche in eventi apparentemente comuni o poco significativi.


Particolarmente famoso è l’episodio che lo vede protagonista poco prima della sua morte (1924): mentre Kafka passeggiava nel parco Stiglitz di Berlino con la propria fidanzata, vide una bambina su una panchina piangere disperata; avvicinatosi, interrogò la bambina, che confessò di avere perso la propria bambola preferita, chiamata Brigida.


Lo scrittore sorprese la bambina, chiamata Elsi, affermando di sapere dove la bambola si trovasse: la piccola, stupita e incredula, gli chiese come potesse saperlo. Kafka rispose di aver ricevuto una lettera scritta da Brigida proprio quel giorno. Lo scrittore, con un piccolo colpo di genio, affermò di essere “il postino delle bambole”.



“Ce l’hai qui?” gli chiese la bambina. “No, mi spiace, – disse lui. – L’ho lasciata a casa per sbaglio, ma domani la porterò con me”.


Tornato a casa insieme alla compagna Dora, lo scrittore si mise all’opera, scrivendo una lettera da portare al parco il giorno successivo.


Puntuali, lo scrittore/postino e la bambina si incontrarono al parco. La piccola Elsi ammise di non saper leggere e chiese a Kafka di svelarle il contenuto della preziosa lettera ricevuta da Brigida:


“Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure. Così potrai viverle con me.”


Kafka infuse nella lettera tutta la propria fantasia e creatività, ideando avventure fantastiche e mirabolanti.

Giorno dopo giorno, lo scrittore portava nuove lettere, assolvendo il suo compito di postino.

In queste lettere, Brigida raccontava incontri, sfide, avventure e pensieri. La piccola Elsi appariva consolata dall’ascolto delle lettere. Kafka tuttavia si interrogava su come uscire da questa situazione di stallo: avrebbe scritto lettere nuove ogni giorno per sempre?

Alla fine, scelse di regalare ad Elsi una nuova bambola, differente (ovviamente) da quella perduta.


Franz Kafka e la compagna Dora Diamant


Consegnandola alla bambina, le disse che si trattava proprio di Brigida, anche se era “diversa”: le numerose avventure raccontate nelle lettere avevano “cambiato” Brigida, mutando il suo aspetto.

Si racconta che all’interno della bambola Kafka avesse riposto un biglietto: “ogni cosa che ami è molto probabile che la perderai, però alla fine l’amore la muterà in una forma diversa”.


Questo episodio della vita di Franz Kafka è stato da più parti considerato un’invenzione letteraria, ideato per alimentare il fascino e la curiosità che circolano intorno alle opere dello scrittore boemo. Questo episodio è ripreso da alcuni scrittori, come Paul Austen in “Follie di Brooklyn” e da Jordi Sierra i Fabra in “Kafka e la bambola viaggiatrice”.


Tuttavia, questo racconto ci offre un prezioso esempio di “lavoro” del lutto e di come sia possibile elaborare la perdita.


La morte causa come uno squarcio nel tessuto simbolico della realtà psichica: la scomparsa di chi amiamo lascia un “posto vuoto” incolmabile, un buco nella trama dei rapporti, delle storie e della mente.


Per questo, l’irrompere della morte ha un effetto traumatico nell’esperienza psichica. Per affrontare questa lacerazione, per Freud sono necessari due ingredienti: tempo e lavoro.



Non basta il solo tempo, così come non basta il solo lavoro.

Se c’è solo lavoro senza tempo, abbiamo la fuga patologica nella “mania”, con l’accumulazione compulsiva di beni, di iniziative, di progetti per riempire il vuoto e negare l’inevitabilità della morte.

Se c’è una dilatazione infinita del tempo senza lavoro, abbiamo lo stallo mortifero della “melanconia”: insieme all’altro, è il soggetto stesso a morire psichicamente, precipitando in un limbo senza vie d’uscita.


Lavoro e tempo sono entrambi necessari per intessere una “trama simbolica” che possa “bordare” il vuoto incolmabile della perdita. In questo senso, il simbolico cerca di trattare l’impossibile della morte, dotandolo di senso e accogliendolo come esperienza parte della vita.

Abbiamo esempio di questa operazione nei riti funebri e nelle liturgie che inseriscono la morte in una prospettiva di continuità, di vita oltre la morte.



Le lettere che Kafka scrive ci mostrano il tentativo di inserire la perdita della bambola in una prospettiva inedita: la scomparsa diviene “viaggio”, esperienza trasformativa che cambia sia la bambola che la piccola Elsi. “diverse” nel momento del loro nuovo incontro.


I racconti che lo scrittore elabora permettono alla piccola di dare nuovo senso alla propria esperienza, “ricucendo uno strappo” che la scomparsa della bambola aveva causato.

Ogni perdita, grande o piccola, comporta un lavoro del lutto: accettare l’inevitabile “fatica” del lavoro è il primo passo per rendere l’esperienza dolorosa della perdita un’occasione per aprire un nuovo sguardo sul mondo.


Per approfondire:

-Sigmund Freud – “Lutto e melanconia” (1915);

-Jordi Sierra I Fabra - “Kafka e la bambola viaggiatrice” (2006);

-Klaus Wagenbach - “Due passi per Praga insieme a Kafka” (1993).


Sigmund Freud


L’esperienza del lutto è presente in tutte le culture e in tutte le epoche: il rapporto con la morte, su un piano singolare e collettivo, costituisce uno scoglio insuperabile per ogni essere umano.


Lacan ha definito la morte come il “padrone assoluto”: l’incontro con la morte costituisce un esempio di incontro con il “Reale”, con ciò che si sottrae ad ogni sistematizzazione assoluta all’interno del simbolico.

È solo la dimensione del lavoro che permette di “bordare” il Reale impossibile a dirsi e a pensarsi della morte.


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