INSONNIA
- riccigianfranco199
- 4 giorni fa
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L’insonnia è uno dei sintomi più invalidanti e diffusi. L’incapacità di dormire produce dei profondi effetti sul corpo e sulla mente: l’assenza di riposo si traduce nell’accumulo di stanchezza, di stress e in un profondo stato di annebbiamento e prostrazione.
Rimanere insonni rende impossibile lavorare, studiare, vivere serenamente la propria quotidianità. Ridotto a “morto vivente”, il paziente privato di sonno appare in stallo, bloccato e privo di forze. Ma cosa si nasconde dietro a questo sintomo?

L’insonnia è un sintomo che ci mostra in modo evidente cosa si nasconda dietro il sonno e l’addormentamento: cosa significa addormentarsi? Come è possibile farlo?
Una parte significativa di ogni giorno, da un quinto fino ad un terzo della giornata, è trascorsa da ogni essere umano dormendo: il sonno ha un posto centrale nelle nostre vite. Mentre riposiamo, siamo inermi, altrove. Il soggetto che dorme è avvolto su di sé, chiuso rispetto al mondo.
Già Freud aveva ipotizzato che i sogni avessero la funzione di proteggere il sonno, impedendo che gli stimoli interni del corpo e della psiche potessero imporre il risveglio per avere soddisfazione: il sogno offrirebbe a questi bisogni una soddisfazione mascherata e parziale, sufficiente per continuare a dormire.
L’atto stesso di addormentarsi mostra il rapporto del soggetto con l’Altro, con la perdita di controllo e perfino con la morte: l’angoscia legata alla percezione di una minaccia costituisce infatti un formidabile ostacolo al sonno e alla possibilità di riposare.
Dormire significa avere grande fiducia, a livello inconscio, nel fatto che, durante il riposo, tutto andrà bene, che ci sveglieremo e non saremo sorpresi da quello che troveremo una volta tornati coscienti.
Questo evoca la dimensione dell’essere come “grido” che, grazie all’intervento dell’Altro, non cade nel vuoto ma diviene appello: la risposta dell’Altro non ci fa cadere nel buio abissale della notte. Anzi, è proprio la presenza dell’Altro come risposta a rendere possibile abitare la notte e lasciarsi andare al sonno.
Come sottolinea Massimo Recalcati:
“Non è il semplice rifiuto del sonno ma rifiuto del precipitare della vita nel fondo oscuro della morte, rifiuto del buio, rifiuto di sprofondare, di essere risucchiati nel nero spesso e irreversibile del silenzio, nel magma dell’esistenza anonima. Per l’insonne resistere al sonno è resistere alla tentazione dell’annullamento, è evasione all’incatenamento oppressivo dell’essere, è mantenersi sveglio, nell’impossibilità di coincidere pacificamente con l’identico.”

Spesso il momento del sonno è accompagnato dalla ripetizione, sempre uguale, di una serie di comportamenti che assumono una vera e propria funzione rituale, preziosa per propiziare il sonno e placare le angosce inconsce legate al sonno come “morte”.
Cosa si nasconde nella mente quando, momento unico della giornata, ci si “ferma” e si rimane da “soli” con i propri pensieri davanti alle soglie dell’inconscio? Come già Freud aveva notato, nei sintomi possiamo cogliere il profondo significato inconscio che si nasconde dietro quello che, nella vita di tutti i giorni, appare come un processo naturale e spontaneo, solo apparentemente semplice.
Per approfondire:
-Massimo Recalcati – “Il mistero delle cose”;
-Haury – “Vincere l’insonnia”;
-Walter Tucci – “Il mistero del sonno. Perché siamo fatti per dormire”.
Il tema del sonno e del sogno ha un valore centrale nella storia della psicoanalisi. È a partire dai sogni che Freud individua “la via regia” per accedere all’inconscio. È proprio la possibilità che l’Io retroceda ad aprire la strada alla verità soggettiva.
In questo senso, l’insonnia appare un sintomo che può riflettere la difficoltà ad accettare questo decentramento dell’Io dalla “cabina di comando” della psiche, per il rischio che “altro” possa emergere, compromettendo così l’equilibrio che faticosamente le istanze hanno raggiunto.
È fare i conti con i propri fantasmi che permette al soggetto di poter tornare a dormire: ciò accade perché, finalmente, non sussiste più il timore di un “cattivo incontro” nel momento in cui ci si lascia andare.
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