IL POTERE DEL SIMBOLO
- riccigianfranco199
- 1 mag 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Il concetto di “simbolo” è da sempre ammantato di grande fascino e da un alone di mistero. Cos’è un simbolo? Cosa rende una parola, un oggetto oppure un’immagine un “simbolo”?
I simboli sono numerosi nella letteratura, nella mitologia e nella religione. Ogni forma di conoscenza ha dei “simboli”, nei quali si addensa un sapere che va al di là del simbolo stesso.
Per Freud, il “simbolo” era una sorta di metafora: per il padre della Psicoanalisi, la costruzione dei simboli era evidente nei miti e nei sogni. Le immagini oniriche rappresentano simbolicamente, secondo Freud, i conflitti inconsci del soggetto.
La storia dell’eroe tragico Edipo era per Freud il simbolo del conflitto, rifiutato dal concetto comune di famiglia, tra le pulsioni e le istanze della Civiltà che avviene tra genitori e figli.

Edipo e la Sfinge
Per questo, compito dell’analisi e dell’interpretazione era risalire al significato originario e rimosso dei simboli, facendo emergere i desideri rifiutati e superando la censura che ha imposto l’emergere del simbolo – sostituto.
Per Jung, nella riflessione sul simbolo era necessario sottolineare la dimensione “trasformativa” del simbolo, senza ambire a “prosciugare” il simbolo dal suo potenziale evocativo e suggestivo;
Jung afferma che:
“Perciò una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, “inconscio”, che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali”
(“L’uomo e i suoi simboli”)
La dimensione centrale del simbolo diviene allora la sua vitalità: un simbolo è vivo fintanto che è considerato pregno di significato e valore; tale valore è determinato dall’investimento libidico sul simbolo, rendendolo così oggetto di proiezioni personali e collettive.

Carl Gustav Jung
In un passaggio dei “Tipi Psicologici”, Jung sostiene che:
“Fintanto che un simbolo è vivo, è espressione di una cosa che non si può caratterizzare in modo migliore. Il simbolo è vivo soltanto finché è pregno di significato. Ma quando ha dato alla luce il suo significato, quando cioè è stata trovata quell’espressione che formula la cosa ricercata, attesa o presentita ancor meglio del simbolo in uso fino a quel momento, il simbolo muore, vale a dire che esso conserva ancora soltanto un valore storico. ” (…) così che esso diviene un mero segno convenzionale”
Jung sottolinea la preziosa differenza tra “simbolo” e “segno”: nel simbolo vi sarebbe quindi un elemento in più, capace di elevarlo ad un valore psichico superiore, decisivo per il soggetto, che nel simbolo vede annodarsi desideri, timori, pensieri e complessi.
Per Lacan invece il concetto di “simbolo” affonda le proprie radici nella perdita: il simbolo emerge al posto di quanto perduto. La parola acquista valore simbolico quando evoca qualcosa di assente, svolgendone la medesima funzione. Non si tratta quindi di un mero referente, ma dell’assunzione, nel simbolo, del medesimo potere di quanto è sostituito dal simbolo.
Il termine stesso “simbolo” rimanda ad un di là fondamentale: “simbolo” deriva dal greco “sumballein”, che significa “tirare e unire”.
Il “simbolon” era per gli antichi un segno di riconoscimento: si trattava di un oggetto che, una volta diviso in due parti, veniva consegnato a coloro che si legavano nel patto di reciproca ospitalità.
La conservazione di questo oggetto, trasmesso in eredità di padre in figlio, sanciva la continuità del legame di ospitalità tra le generazioni. La distanza nel tempo e nello spazio era quindi annullata dalla legge dell’ospitalità, che lega tra loro uomini e donne di ogni epoca. Il concetto di simbolo per i Greci si fondava sull’esperienza dello scambio e della condivisione.
Abbiamo un esempio struggente del simbolo come elemento di condivisione nella storia del tappeto “Vahanagorg”, conservato presso il museo Megerian di Yerevan, in Armenia.

Questo tappeto è stato diviso in due parti e donato da una donna alle due figlie: negli anni convulsi della Grande Guerra, il popolo armeno era oppresso e massacrato dagli Ottomani, costringendo molti alla fuga e alla diaspora per poter aver salva la vita.
Nel grande marasma di questa tragedia, alle due figlie non fu possibile fuggire insieme: il tappeto diviso era l’unico elemento che avrebbero portato con sé, simbolo della separazione tra loro e del loro popolo.
L’augurio della madre per le figlie era di potersi un giorno ritrovare, riunendo finalmente le due parti del tappeto.
Diversi anni dopo, le due sorelle si ritrovarono, sane e salve, negli Stati Uniti e poterono finalmente riunire le due metà del tappeto: la sutura del tappeto, di nuovo unito, non cancella le tracce della lacerazione che ha subito, rendendo questo tappeto un simbolo potente della storia della famiglia che lo ha posseduto e del dramma del popolo armeno.
Come nell'arte giapponese del "Kintsugi", la sutura della ferita non diviene cancellazione della lacerazione, ma occasione della sua valorizzazione, del suo superamento in un nuovo che non elimina il trauma passato.
Nel tappeto “Vahanagorg” vediamo vivi e potenti tutti gli aspetti salienti del “simbolo”: la potenza metaforica del messaggio che veicola, la sua dimensione storica, la divisione e la condivisione, la forza dell’investimento psichico di dolore, lutto e riconciliazione di un intero popolo.
Per approfondire:
-Carl Gustav Jung: “Tipi psicologici”;
-Carl Gustav Jung: “L’uomo e i suoi simboli”;
-Sigmund Freud: “L’interpretazione dei sogni”.

Il "Nodo Borremeo" che lega Reale (R), Simbolico (S) e Immaginario (I).
Jacques Lacan ha fatto del “simbolo” e del “simbolico” l’asse portante del suo insegnamento classico.
Per Lacan il simbolico costituiva uno dei tre registri fondamentali dell’esperienza, insieme all’immaginario e al reale.
Per Lacan il primato del simbolico era legato al ruolo centrale del linguaggio nell’esperienza umana e nella pratica analitica. La parola simbolica è “parola in azione”, parola piena e trasformativa in quanto funzione.
Per questo, Lacan sottolinea come, ad esempio, sia possibile reperire nella Legge una forma simbolica della parola, capace di plasmare la realtà e di organizzare il mondo.
L’operatività del simbolico sarebbe fondamentale nell’economia della pulsione: laddove il simbolico è assente o assai precario, come nella psicosi, vediamo il proliferare nel mondo degli aspetti pulsionali nella forma caotica e devastante dell’allucinazione.
Il limite del simbolico, contropartita al “Disagio della Civiltà”, costituisce un argine fondamentale alla dimensione eccessiva e mortifera della pulsione.
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