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IL LAVORO DEL LUTTO

Aggiornamento: 2 giorni fa

Ogni forma di perdita richiede un processo di simbolizzazione per essere superata: questo processo è chiamato “lavoro del lutto”.

Freud, nel suo saggio “lutto e melanconia”, afferma l’importanza di due fattori: il lavoro e il tempo.


Per descrivere il lavoro del lutto, Freud utilizza il termine tedesco “arbeit”, che indica nella sua etimologia la difficoltà e la pesantezza del lavoro; non c’è infatti lutto senza fatica, senza un travaglio, senza lacrime e dolore.

Dall’altra è necessario un tempo, che Freud osserva essere proporzionale all’investimento pulsionale su quanto abbiamo perso.


L’indicazione di Freud è precisa: servono entrambi gli ingredienti; da una parte il solo lavoro sarebbe una fuga; dall’altra il solo tempo sarebbe un’attesa, priva di implicazioni e di responsabilità. Solo la combinazione di tempo e lavoro permette di cambiare l’equilibrio psichico, emotivo e pulsionale, per tornare alla vita.

Che caratteristiche deve avere il “lavoro del lutto”? Non si tratta di “qualsiasi lavoro”; ciò che conta è la dimensione simbolica di questo lavoro. In che modo il nostro “arbeit”, la nostra fatica, “ricuce” la ferita della perdita? In che modo possiamo attraversare la ferita per trasformarla in cicatrice?


Proviamo a cercare un esempio nel mondo dell’arte. Marina Abramovic è una delle artiste più note del panorama europeo ed internazionale.

Attiva dagli anni Sessanta, Abramovic è nota per le sue “performance”, spesso controverse e provocatorie.


Marina Abramovic


Oltre un decennio della sua carriera, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, fu segnato dal sodalizio artistico e amoroso con Ulay, pseudonimo di Frank Uwe Laysiepen, fotografo e artista tedesco.

Entrambi lasceranno tracce indelebili nel mondo della performance art.


Ulay


Il loro coinvolgimento sentimentale e sessuale si condensava nelle performance che mettevano in scena: in “Rest Energy” (Dublino, 1980), Ulay tende la corda di un arco, mentre la Abramovic mira al proprio cuore, reggendo l’arma.

Se Ulay avesse mollato la presa, la freccia avrebbe trafitto il cuore dell’amata. Un microfono registrava i quattro lunghissimi minuti della performance, rendendo immortale il battito del cuore dei due artisti. La performance intendeva simbolizzare il legame, tra la vita e la morte, dei due amanti e la fiducia che ciascuno riponeva nell’altro, affidandogli la propria vita.


Abramovic e Ulay, "Rest energy"


Durante un viaggio in Australia, i due artisti immaginarono una grandiosa performance: percorrere la muraglia cinese, partendo dai due vertici. I due erano stati ispirati da un’antica poesia cinese del secondo secolo, “Confessione della Grande Muraglia”: “la terra è piccola e azzurra, io sono solo una piccola crepa su di essa”.

La performance non prevedeva solo di attraversare la muraglia per tutta la sua lunghezza; una volta incontrati a metà della muraglia, Marina e Ulay si sarebbero sposati come momento culminante della performance.


Per i due artisti:


“la costruzione che meglio esprime il concetto di terra come essere vivente è la Grande Muraglia cinese. Sotto la struttura di questa lunga fortezza vive un drago mitologico… verde è il colore del drago, che rappresenta l’unione di due elementi naturali, terra e aria. Anche se vive sottoterra, simboleggia l’energia vitale sulla superficie della terra.

La Grande Muraglia segna il movimento del drago attraverso la terra, e incarna la stessa “energia vitale”.

In termini scientifici, la Muraglia sorge su linee di forza geodetiche, o ley lines. Sono un collegamento diretto con le forze della terra.”


Nel corso degli anni e della lunga preparazione della performance sulla Muraglia, il rapporto tra Marina e Ulay attraversò diverse fasi, fino ad esaurirsi. Da coppia appassionata, i due artisti divennero, progressivamente, “solo colleghi”.

Nel corso degli anni e delle performances, la loro divisione divenne sempre più netta ed evidente. Questo determinò anche una trasformazione del progetto legato alla Grande Muraglia.


Nel 1988, il progetto divenne realtà: la Abramovic avrebbe iniziato il suo cammino da oriente (la testa del drago), Ulay da occidente (la coda). Il titolo originale era “The lovers”: ma i due non erano più amanti!

Da celebrazione della loro unione, la performance divenne metafora della loro separazione.


“prima c’era un forte legame emotivo. Camminare una verso l’altro aveva un certo impatto emotivo… era quasi la storia epica di due amanti che si incontrano dopo tante sofferenze. Poi questo aspetto è scomparso. Mi sono confrontata solo con me e la nuda Muraglia…

Sono molto contenta che abbiamo comunque deciso di realizzare questo lavoro, perché avevamo bisogno di una qualche conclusione.

E questa è rappresentata da tutta la strada che facciamo camminando l’una verso l’altro – e non per incontrarci gioiosamente, ma solo per pronunciare la parola “fine”. È una cosa molto umana, in un certo senso. Ed è molto più drammatica della semplice storia dei due amanti. Perché la realtà è che alla fine sei sola, qualunque cosa tu faccia”


l’impresa si concluse dopo tre mesi dal suo inizio, il 27 giugno 1988, a Erlang Shen, nella provincia di Shaanxi. Un lungo abbraccio segnò la fine della performance e del loro rapporto.


Abramovic sulla grande muraglia


La performance di Marina Abramovic e di Ulay è un potente esempio di “arbait”, di lavoro necessario per elaborare il peso distruttivo e mortifero della perdita. In questa performance troviamo infatti diversi elementi simbolici, che fanno parte del linguaggio artistico che appartiene ai due amanti;

Il cammino sulla Grande Muraglia rappresenta la creatività e unicità di ogni lavoro del lutto: per elaborare la perdita ognuno è chiamato a mettere in gioco il proprio vissuto e il proprio linguaggio, “inventando” una soluzione che permetta di suturare la ferita della perdita.


Quando il lutto è concluso? Quando la ferita è rimarginata? Ciascuno elabora in modo singolare la ferita per la perdita; in numerose perfomances successive, la Abramovic affronterà la sua separazione da Ulay, come in “Biography”:


“Bye Bye infelicità!

Bye Bye lacrime!

Bye Bye Ulay!”


Ogni lavoro del lutto infatti si incarna in chi lo affronta: attraversarlo significa farsi carico della ferita, trasformando la ferita in scrittura nuova di quanto è accaduto. L’esito del lutto è insomma un nuovo sguardo sulla perdita, riappropriarsi di ciò che abbiamo accettato di perdere.


Per approfondire:

-Sigmund Freud – Lutto e melanconia;

-Marina Abramovic – Attraversare i muri.


Esiste un resto dell’esperienza del lutto? Per lo psicoanalista Massimo Recalcati, il resto del lutto è la gratitudine: il dolore della perdita per quanto non c’è più lascerebbe quindi il posto alla gioia per quello che è stato, per l’incontro che è divenuto possibile.


L'immagine è opera di Giulia Iaquinta


La gratitudine sarebbe quell’esperienza che invece di deprivare il soggetto lo arricchisce, permettendo di articolare un nuovo rapporto con l’oggetto d’amore. Un nuovo legame sarebbe possibile nonostante il distacco e la ferita.


Per approfondire:

-Massimo Recalcati - La luce delle stelle morte.

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