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FREUD ED ANNIBALE

“Dovrei scriverti di Roma, ma è difficile… eppure è un momento culminante della mia vita”

(Lettera di Sigmund Freud a Wilhelm Fliess)


Nel corso dei suoi viaggi, Freud ha esitato a lungo prima di visitare Roma. La Città Eterna ai suoi occhi aveva un grande valore simbolico, tanto da spingerlo ad affermare che “il mio desiderio di andare a Roma è profondamente nevrotico”.


La capitale dell’Impero romano costituisce per Freud un vero e proprio simbolo: Roma simbolizza per Freud il punto di arrivo di un tortuoso e difficile percorso; la visita della città appare come una vera e propria conquista.

Per questo, Freud si paragona esplicitamente al condottiero cartaginese Annibale.


Freud scrive


“Nel mio ultimo viaggio in Italia, che tra l'altro mi portò anche sul lago Trasimeno, potei finalmente scoprire, dopo aver preso dolorosamente la via del ritorno, ottanta chilometri prima di Roma, il modo in cui la mia nostalgia per la città eterna era rafforzata da impressioni infantili.


Stavo appunto progettando di fare l'anno dopo un viaggio a Napoli passando per Roma, quando mi colpi una frase, letta forse in uno dei nostri classici: "Vien da chiedersi chi abbia passeggiato più nervosamente in camera sua, dopo aver concepito il piano di recarsi a Roma, se il rettore aggiunto Winckelmann o il condottiero Annibale."


Nei suoi primi viaggi in Italia, Freud si ferma a pochi chilometri da Roma; colpito da un violento attacco attacco d’ansia, Freud decide di scendere dal treno, per tornare indietro. Ha inizio la “fobia di Roma”, che il Padre della Psicoanalisi analizzerà e supererà grazie ai suoi sogni.


“Avevo allora seguito le tracce di Annibale; come lui, non ero riuscito a vedere Roma; e anche Annibale era andato in Campania, quando il mondo intero lo aspettava a Roma.

Annibale, al quale ero pervenuto a somigliare per questi aspetti, era stato però l’eroe favorito dei miei anni di ginnasio; al pari di molti coetanei, durante le guerre puniche avevo rivolto le mie simpatie non ai Romani ma al Cartaginese.


Busto ritrovato a Capua, considerato il ritratto di Annibale Barca


Quando poi, nel ginnasio superiore, capii meglio che cosa vuol dire appartenere a una razza straniera, e le agitazioni antisemitiche dei miei compagni mi costrinsero a prendere una posizione definita, la figura del condottiero semita s'innalzò ancor più ai miei occhi.”


Il giovane Freud ha a lungo sofferto la segregazione a cui gli ebrei erano costretti nella Vienna di fine XIX secolo; isolato dai circoli accademici, Freud ha spesso commentato la solitudine a cui era costretto come un pilastro sul quale costruire la propria forza di volontà.


Prosegue Freud:


“Annibale e Roma simboleggiavano, per me adolescente, il contrasto fra la tenacia dell'ebraismo e l'organizzazione della chiesa cattolica, mentre la crescente importanza assunta dal movimento antisemitico sulla nostra vita affettiva contribuiva a fissare i pensieri e i sentimenti di quei lontani giorni.


Così il desiderio di andare a Roma è diventato, per la vita del sogno, pretesto e simbolo di molti altri ardenti desideri, la cui realizzazione potrebbe essere perseguita con la costanza e la dedizione del cartaginese, benché il loro appagamento sembri per il momento tanto poco favorito dal destino, quanto la suprema aspirazione di Annibale di entrare in Roma.”


Annibale, dopo le sfavillanti vittorie contro l’esercito romano sul lago Trasimeno e a Canne, decise di non assediare Roma, rimanendo a Capua. La scelta di Annibale sarà decisiva per l’esito della Seconda Guerra Punica.

Per Freud andare a Roma non implica solo un’occasione di rivalsa verso la Società e il mondo cristiano, a lui ostile.

Entrare a Roma significa andare al di là di Annibale, superando le mura che furono impossibili da espugnare per i Cartaginesi. Simbolicamente parlando, superare Annibale significava per Freud superare il padre, divenendo, grazie alla Psicoanalisi, un uomo celebre e riconosciuto.



Continua Freud:


“E ora soltanto m'imbatto nell'esperienza della mia infanzia che manifesta ancor oggi il suo potere su tutte queste sensazioni e questi sogni. Avevo forse dieci o dodici anni, quando mio padre incominciò a portarmi con sé nelle sue passeggiate e a rivelarmi nelle conversazioni le sue opinioni sulle cose di questo mondo.


Così, una volta, mi fece questo racconto per dimostrarmi quanto migliore del suo fosse il tempo in cui ero venuto al mondo.


"Quand'ero giovanotto - mi disse - un sabato andai a passeggio per le vie del paese dove sei nato. Ero ben vestito, e avevo in testa un berretto di pelliccia, nuovo. Passa un cristiano, e con un colpo mi butta il berretto nel fango urlando: “Giù dal marciapiede, ebreo!”

"E tu che cosa facesti?", domandai io.

"Andai in mezzo alla via e raccolsi il berretto", fu la sua pacata risposta.


Ciò non mi sembrò eroico da parte di quell'uomo grande e robusto che mi teneva per mano.

A questa situazione, che non mi soddisfaceva, ne contrapposi un'altra, molto meglio rispondente alla mia sensibilità, la scena cioè in cui il padre di Annibale, Amilcare Barca, fa giurare al figlio davanti all'ara domestica che si vendicherà dei Romani. Da allora in poi Annibale ha avuto un posto nelle mie fantasie.”


Freud ha teorizzato nel “Complesso di Edipo” il tema della lotta tra le generazioni in particolare tra la figura del Padre e del Figlio. Il tema del “Padre” è al centro del pensiero freudiano; ne sono testimoni saggi come “totem e Tabù”, “Il disagio della Civiltà” e “Avvenire di un’illusione”.

Freud ha a lungo sofferto per le umiliazioni riservate agli ebrei, fino a dover scegliere l’esilio dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania (1938).


L’esperienza di Roma assume un valore “sintomatico” per Freud: si tratta di superare il padre, andando al di là della propria eredità. Non a caso, il momento più difficile e doloroso della vita di Freud sarà la perdita del padre, Jacob, morto il 23 ottobre 1896.


Per approfondire:

-Ernest Jones – “Vita e Opere di Sigmund Freud”;

-Sigmund Freud – “Una parola sull’antisemitismo”.


Il tema del “superamento del padre” è presente in un’altra opera di Freud: si tratta di “un disturbo di memoria sull’Acropoli”, che abbiamo approfondito in questo articolo.



In quest’opera Freud associa la sua passione per il viaggio al rapporto col padre: “è come se l’essenziale del successo consistesse nel fare più strada del padre e che fosse tuttora proibito voler superare il padre”.

Il rapporto con il padre evoca direttamente il tema dell’eredità: la vita e l’opera di Freud testimoniano del complesso lavoro necessario per “fare buon uso del padre”, come scriverà Lacan.


Ma cos’è un “padre”?

La risposta di Lacan è molto chiara: «Un nome che implica la fede».

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