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FREUD E IL MONOTEISMO

Sigmund Freud ha applicato al Psicoanalisi in molti diversi campi. Nata come terapia della nevrosi isterica e di quella ossessiva, l’analisi dispone di strumenti che permettono di rivelare l’influenza dell’inconscio e della pulsione anche nei fenomeni culturali e sociali.


Per questo, Freud per primo aveva fatto ricorso ai principi della Psicoanalisi per esplorare la mitologia, i fenomeni sociali del suo tempo, le biografie di uomini politici e artisti. Lo stesso Freud immaginava che, in futuro, la Psicoanalisi avrebbe offerto numerose scoperte proprio in campi distanti, come la letteratura o l’arte, da quello in cui l’analisi è nata, cioè l’ambito terapeutico.


Freud ha studiato con la lente d’ingrandimento dell’analisi anche la religione. La religione ha avuto un impatto rilevante nella vita del padre della Psicoanalisi. Nato in una famiglia ebraica di poveri commercianti, Freud ha a lungo sofferto la propria condizione di ebreo emarginato e osteggiato per la propria origine.


Orientato da principi laici e dal desiderio di cogliere le profonde dinamiche inconsce che si nascondo dietro ai fenomeni religiosi, Freud si è interrogato sull’origine del Monoteismo. Con “monoteismo” intendiamo una religione nella quale una singola divinità occupa un posto centrale.


Oggi, i culti religiosi monoteisti più diffusi sono il Cristianesimo, l’Islam e la religione ebraica.

Freud ha sviluppato le sue prime intuizioni sul legame tra dinamiche inconsce e sociali in “Totem e Tabù” (1913), ma è solo negli anni Venti del Novecento che ha sistematizzato il suo pensiero sul rapporto tra psiche individuale e sociale.

In opere come “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921) e in “L’avvenire di un’illusione” (1927) infatti Freud offre un vivido spaccato delle dinamiche che legame l’individuo, le sue esigenze psichiche e pulsionali, il mondo sociale e la religione.


Ma è in un’ultima opera, “L’uomo Mosè e la religione monoteista” (1939), che tutte le intuizioni di Freud si uniscono, focalizzandosi sulla religione monoteista.



Freud aveva teorizzato già in “Totem e tabù” l’idea che la religione riflettesse in ambito sociale le dinamiche familiari: la fantasia edipica del bambino di uccidere il padre troverebbe nel mito dell’Orda una sua declinazione collettiva.

Freud aveva ipotizzato la nascita degli aggregati sociali come conseguenza dell’uccisione del mitico Padre dell’Orda da parte dei suoi figli, esclusi dal godimento delle donne della tribù. Tale colpa avrebbe comportato la nascita della legge e del divieto di uccidere e l’uguaglianza tra tutti i figli. Il padre ucciso sarebbe poi stato elevato a divinità totem, proprio per il senso di colpa dei suoi figli assassini.


Tale intuizione, che vede nella religione una sorta di sovrastruttura che regola le dinamiche della pulsione, è ripresa da Wilhelm Reich ed estesa in “L’avvenire di un’illusione”.

In questo saggio Freud attacca la religione, affermando che “la religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell'umanità; come quella del bambino, essa ha tratto origine dal complesso edipico, dalla relazione paterna”.


Nella religione l’uomo ricercherebbe quelle consolazioni che non riesce a trovare nella propria quotidianità o nelle proprie relazioni: la religione, sostituto del “padre” inteso come figura capace di guidare, orientare e definire il senso della vita, offrirebbe all’uomo le risposte che gli mancano per sopportare la sofferenza della vita.


Il celebre Mosè di Michelangelo


È infine nel saggio su Mosè che Freud applica, in una volta, tutte le intuizioni di un’intera vita di ricerca: in un saggio originalissimo, il padre della Psicoanalisi indaga l’origine della religione ebraica; in modo audace Freud propone un’ipotesi suggestiva: Mosè sarebbe stato in realtà un sacerdote egizio, adoratore del culto di Akhenaton, fuggito dall'Egitto dopo la morte del faraone.


Akhenaton, faraone della XVIII dinastia, aveva tentato di riformare radicalmente la religione tradizionale egiziana: il faraone avrebbe trasformato il culto politeista, imponendo una nuova religione monoteista, fondata sull’adorazione del disco solare, il dio Aton. Questa riforma radicale lo avrebbe portato anche ad adottare un nuovo nome, legato al culto di Aton: “Akhenaton” significa infatti “Utile ad Aton”. Una nuova città, Akhetaton, divenne la capitale al posto di Tebe.


Alla morte del faraone, la religione tradizionale sarebbe stata ripristinata: il suo successore, Tutankhamon riaffermò il pieno politeismo e il primato di Amon-Ra, riportando la capitale a Tebe.


Secondo Freud, Mosè avrebbe cercato di imporre il monoteismo di Aton al popolo semita, generando odio e insofferenza. I suoi fedeli, stanchi e frustrati, lo uccisero, per poi essere catturati dal senso di colpa. Sulla spinta di questa “mitica uccisione del padre”, adottarono il culto monoteista, iniziando ad adorare Yahweh e dimenticando la vera storia di Mosè.


Si tratterebbe quindi di una sorta di "rimozione collettiva", proprio come accade nel soggetto nevrotico, che rimuove le realtà inaccettabili che lo riguardano.



Per approfondire:

-Sigmund Freud – “L'uomo Mosè e la religione monoteistica” (1939);

-Erich Fromm – “Psicoanalisi e religione” (1950);

-Massimo Recalcati – “La legge della parola. Le radici bibliche della Psicoanalisi” (2023).


L’applicazione di Freud dei principi della Psicoanalisi alla religione, alla società e alla storia va interpretata suddividendo la sua ricerca su due livelli: se da una parte l’individuazione di principi e logiche di fondo dei fenomeni sociali e religiosi è utile a comprendere il profondo legame tra psiche individuale e collettiva, dall’altra le ricostruzioni freudiane della vita di Mosè appaiono meramente speculative, prive di ogni possibile prova che le possa confermare.





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