FREUD E I “VASI COMUNICANTI”
- riccigianfranco199
- 11 ott 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Sigmund Freud aveva un'impareggiabile capacità di chiarire concetti psicologici complessi utilizzando vivide metafore e analogie. Una di queste metafore, che utilizzò nel suo saggio del 1914, "Introduzione al narcisismo", è quella dei "vasi comunicanti".
Questa metafora offre una rappresentazione vivida delle intricate relazioni tra amore per se stessi, amore per l'oggetto e sviluppo della psiche.

La metafora dei “vasi comunicanti”, conosciuta anche come “legge dell’equifinalità psichica”, descrive come l'energia psichica, la “libido”, si possa spostare all'interno dell’apparato psichico. Freud propose che l’energia psichica non fosse limitata o finita ma piuttosto una forza dinamica in costante flusso, capace di mobilità. Questa metafora illustra come l’energia investita nell’amore per se stessi e nell’amore per l’oggetto sia intercambiabile e fluida, proprio come l’acqua nei vasi interconnessi.
Secondo Freud, il bambino nasce in uno stato di “narcisismo primario”, in cui tutta l'energia psichica è diretta verso se stesso. Le zone erogene, le zone di contatto con l’oggetto, le aperture del corpo, divengono punto di “concentrazione libidica”, generando un vissuto di piacere e dispiacere. Man mano che il bambino cresce e si sviluppa, l’energia può spostarsi tra l’amore per sé e l’amore per gli “oggetti”, gli altri con cui il bambino entra in contatto, proprio come l’acqua può scorrere da un vaso all’altro.
Tuttavia, Freud riconobbe anche che esiste un principio fondamentale in gioco: quello della “conservazione” dell'energia psichica. Ciò significa che mentre l’equilibrio tra amore per se stessi e amore per l’oggetto può cambiare, la quantità totale di energia rimane relativamente costante.
Il processo di sviluppo e l'equilibrio tra “amore per se stessi” e “amore per l'oggetto” sono centrali per la comprensione di Freud della psiche.
Quando la libido si lega all’oggetto, essa viene definita “libido oggettuale”. La perdita dell’oggetto, come nel caso della morte di una persona amata, determina il ritorno della libido sull’Io.
Tuttavia questo non sarebbe l’unico effetto: davanti alla perdita dell’oggetto, perdiamo anche una parte di noi stessi che rimane pervicacemente ancorata all’oggetto; questo avrebbe due effetti: una perdita di valore del mondo, impoverito, privato dell’oggetto che aveva valore e ora non c’è più; una perdita di valore dell’essere, per la perdita della quota di libido rimasta ancorata all’oggetto.
Le dinamiche della libido mostra in modo chiaro gli effetti della perdita: li cogliamo nello scadere di ogni interesse per il mondo e nello svilimento del senso di sé che possiamo provare quando affrontiamo il trauma del lutto e della perdita.

La libido è concepita da Freud in alternativa all’istinto, presente nel mondo animale: se l’istinto è infallibile, geneticamente determinato, uguale per ciascun membro della specie, rigido, la libido e la pulsione mostrano una radicale plasticità. La pulsione, come Freud la definisce, sarebbe una “spinta generica a meta indeterminata”: questo implica l’assenza di un preciso obiettivo, uguale per tutti.
L’essere umano, essere parlante, è privo della bussola rassicurante dell’istinto; per questo l’emergere della pulsione a livello del corpo e della sessualità è spesso accompagnato da angoscia, da un effetto “perturbante”.
Per approfondire:
-Sigmund Freud – Introduzione al Narcisismo;
-Sigmund Freud – Il perturbante.
La teoria della pulsione è al centro del pensiero di Freud e nel corso degli anni verrà approfondita e aggiornata, come raccontiamo in questo articolo.
Per questo, in “Lutto e melanconia”, Freud associa amore, suicidio e melanconia: in tutte queste esperienze è presente un’esaltazione dell’oggetto, elevato idealisticamente al rango di perfezione; di rovescio, l’Io è invece scaricato, disinvestito, svuotato e annichilito.

Nell’amore, è proprio la fine dell’idealizzazione ad associarsi al raggiungimento di un nuovo equilibrio libidico;
Nel suicidio, l’idea di Freud è che l’uccisione del proprio Io sia in realtà un modo delirante di tentare di uccidere l’oggetto, con quale l’Io si è identificato e dal quale cerca di liberarsi.
La melanconia infatti non sarebbe che la cristallizzazione del lutto, reso eterno dall’impossibilità di separarsi dall’oggetto perduto. Come sottolinea lo psicoanalista Massimo Recalcati, nella melanconia assisteremmo ad una “perdita senza separazione”, priva quindi di quella dimensione simbolica di lavoro, “arbeit” (così Freud lo descrive, riprendendo un concetto di Hegel), che permette di riportare l’uomo alla vita, al rapporto con l’Altro dopo l’inverno del lutto e della perdita.
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